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L'imprevedibile naturale

Quando si ha a che fare con avvenimenti estremi come le catastrofi naturali, nel caso specifico terremoti con magnitudo della portata di quello che ha colpito qualche mese fa l’Italia centrale, coinvolgendo paesi meravigliosi dal punto di vista sia storico che paesaggistico come Amatrice o Arquata del Tronto e molti altri, situati sulle pendici del massiccio dei monti Sibillini, è come se una parte di noi e della nostra logica di sopportazione del nostro percorso esistenziale, se ne andasse con quel tragico e devastante evento. L’uomo fino da tempi immemorabili si è sempre dovuto confrontare con Madre Natura che pur regalandoci bellissimi spettacoli e palcoscenici di spettacolare bellezza, diviene a volte terribile nel senso sacrale del termine, con altrettanta potenza devastatrice.  La nostra epoca è oltretutto caratterizzata da criteri di urbanizzazione spesso non consoni con ciò che fenomeni tellurici ma anche metereologici, ci stanno riservando da un po’ di tempo a questa parte. Ma mentre i primi sono spesso improvvisi e ancora poco prevedibili per i secondi sarebbe sufficiente un costante metodo di monitoraggio del nostro territorio, aggredito da interventi edilizi spesso al limite con la pericolosità estrema di  tali fenomeni come bombe d’acqua e alluvioni, altrettanto incontrollabili visti i profondi cambiamenti del clima a livello globale. Ciò nonostante si continua a costruire nei pressi di alvei di fiume o alle pendici di vulcani assai pericolosi seppure apparentemente innocui come il Vesuvio a Napoli. Il terremoto però resta comunque il peggiore in assoluto perché capace di colpire quasi ovunque e quasi sempre, non risparmiando nessuno ne persone ne cose. Si è parlato spesso in questi giorni della “messa in sicurezza” di edifici pubblici e privati, ma di fronte a scosse telluriche di tale recente portata o “magnitudo” anche costruzioni particolarmente “elastiche” come quelle realizzate in cemento armato  rivelano almeno parzialmente, i propri punti deboli specialmente se non realizzati con la necessaria onestà. La normativa antisismica è ancora realmente complicata e costosa in Italia perché nessuno era ancora abituato ad una ripetitività di fenomeni tellurici come quelli che abbiamo dovuto sopportare recentemente, specialmente in prossimità della Faglia appenninica centrale. I beni culturali dei quali noi come altri enti ufficiali preposti si occupano per competenza, sono fra i più fragili da ogni punto di vista. Essi ci hanno raccontato e ci tramandano ancora secoli di storia, di arte e di vita vissuta e vederli improvvisamente sbriciolare sotto delle potenti vibrazioni di pochi secondi, provoca in noi quel succitato spavento e di impotenza ma anche un senso di ribellione nei confronti di qualcosa che non si può controllare ma che avviene anche a “dispetto dei Santi” come si usa spesso dire. E allora l’unica arma che abbiamo e che viene costantemente usata è quella della ricostruzione di ciò che è andato distrutto. Spesso si sente dire “rifaremo tutto com’era e dov’era” ma per chi come noi conosce bene i “segni” e le testimonianze che un vero passato è in grado di tramandarci, è come assistere (nella migliore delle ipotesi) alla creazione di un discutibile teatrino vuoto di ogni significato se non quello apparente. Tornerà lo stesso paesaggio, verranno riedificati altari, intere chiese e antiche torri, ma non sarà mai lo stesso dal punto di vista storico – artistico. Differentemente  e nei casi in questione, principalmente sarà necessaria, la ricostruzione di case vie o piazze per gli abitanti del luogo, perché nel loro cuore sarà come restituire anche se non fino in fondo, il loro modo di vivere, le loro abitudini e parzialmente una memoria di ciò che era ma che ora non è più, compreso l’affetto dei propri cari scomparsi e anche degli animali domestici e non che comunque accompagnano spesso inconsapevoli parzialmente ma con tutto il loro affetto e la loro fedeltà la nostra stessa umana esistenza. Occorrerà tanto coraggio e tanta volontà portata al limite dell’inganno per ciò che era e per ciò che ora è, ma il “bene culturale” capace di attraversare i secoli, darà loro e anche a noi, la speranza di un nuovo mondo capace di realizzare opere altrettanto belle e ancora più robuste per la tranquillità delle nuove generazioni, e per la coscienza consapevole dei più anziani che le hanno caparbiamente sapute realizzare. Accettiamo allora anche l’apparenza e il teatro della memoria se potrà servire a ridare fiducia e speranza a chi è rimasto così duramente e innocentemente colpito.

Mario Pagni (Presidente del Gruppo Archeologico Fiorentino)

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